Connessi e infelici

Siamo nell’era dello “smartphone-appendice”, del “sempre connessi” e del “veloce è bello”. Ricordo, come fosse un secolo fa, i futuristici rumori dei primi modem, le imbarazzanti conversazioni in chat, le interurbane e i gettoni telefonici. Erano i tardi anni ’90: “solo” 30 anni fa. 

I tempi del liceo scorrevano veloci e intensi, tra band che si formavano e scioglievano, le prime storielle più o meno fallimentari, obbligo o verità, i viaggi con gli amici e le prime riflessioni sul senso della vita. Zia America ci mandava il funky rock dei Red Hot, la ribellione dei Green Day, l’idea che la morte non è la fine sussurrata da Dave Grohl, e poi l’iconico Mellon Collie (e l’infinita tristezza) degli Smashing Pumpkins. L’Inghilterra rilanciava con il rock alternativo di Ok Computer, mentre il rumoroso brit pop di casa Oasis e cugini faceva a botte con l’intimista trip-hop di Bristol. L’Italia si difendeva nelle barricate underground delle sue metropoli con l’indie degli Afterhours, l’elettropop dei Subsonica e le enfatiche ballate dei CSI. 

Assistevamo, ignari, ai grandi cambiamenti dentro di noi, mentre fuori cambiava tutto ad una velocità spaventosa. Da un giorno all’altro abbiamo conosciuto l’euro, la guerra in Kosovo, la nascita di Google, la massificazione del cellulare, gli squilli e i 160 caratteri degli SMS, i primi contratti adsl flat, etc. Ma il ricordo più bello era la condivisione. I cambiamenti erano discussi, osservati, masticati ed ignorati con gli amici dell’epoca, con cui si trascorreva tempo di qualità. Amici che divennero parte di una storia, non soggetta a scadenza dopo l’utilizzo. 

Vi starete chiedendo il perché di questa parziale e superficiale lista di ricordi. No, non sto invecchiando, cioè non solo. E’ che ho appena letto un capitolo dell’ultimo World Happiness Report, che mostra dati allarmanti sulla relazione tra media digitali e felicità. Mentre felicità e soddisfazione di vita sono cresciute tra gli adolescenti americani tra il 1991 e il 2011, improvvisamente dal 2012 iniziano a crollare…fino ad oggi. Dal 2010 il malessere psicologico (depressione, intenzioni di suicidio e autolesionismo) è aumentato tra gli adolescenti, specialmente tra le donne. I cosiddetti “iGen”, i nati dopo il 1995, hanno livelli di benessere psicologico di gran lunga più bassi della generazione precedente, cioè noi Millennials (nati tra il 1980 e il 1994). Il report pone l’accento su una possibile spiegazione: come gli adolescenti spendono il proprio tempo libero. 

Nell’ultimo decennio, l’ammontare di tempo trascorso in attività di schermo (gaming, social media, texting e attività online) è significativamente aumentato, specialmente dal 2012, dopo che lo smartphone è entrato nelle mani della maggior parte degli americani. Al 2017, in media un ragazzo di 17-18 anni trascorre più di 6 ore (!) al giorno del proprio tempo libero in tre attività digitali: internet, social media, texting. Nel 2018, il 95% degli adolescenti aveva uno smartphone e quasi il 45% dichiara di essere online quasi sempre durante la giornata. Parallelamente, gli adolescenti hanno cominciato a trascorrere meno tempo in attività che richiedono interazione con altri (andare a feste, uscire con gli amici, etc.). Pure il tipo di socialità è cambiato, passando da interazioni face-to-face a quelle online. 

Ma la felicità, invece, non è aumentata, anzi: le ragazze che spendono più di 5 ore al giorno sui social media sono tre volte più depresse di chi non usa internet o chi lo usa di meno; chi usa massivamente internet è due volte più infelice di chi lo usa con moderazione. In generale, le attività senza schermo – in declino per la iGen – sono positivamente correlate con la felicità; l’opposto si verifica per quelle collegate all’uso di smartphones e media digitali. Sembrerebbe che gli adolescenti della iGen siano meno felici perché l’aumento del tempo trascorso sui media digitali ha rubato tempo alle attività che alla generazione precedente davano più felicità. Al di là di questo, l’effetto negativo sulla felicità che deriva dell’uso dei media può provenire direttamente da questi ultimi tramite, per esempio, (frustranti) confronti con l’influencer/superstar di turno, episodi di cyberbullismo, ed esposizione crescente a fenomeni di “hating” sui social network.

Tornando ai ricordi, nella mia adolescenza si guardava all’innovazione e all’arrivo della tecnologia in trepidante attesa, affacciati alla stessa finestra; oggi – più o meno consapevolmente – si abbraccia la solitudine reale per far posto alla compagnia virtuale. Quest’ultima è sicuramente più veloce ed emotivamente più facile da gestire del faccia a faccia con l’altro, che richiede certamente reciproco impegno, ma che regala anche longeva soddisfazione e caldi ricordi.

Author: Piero

I am Associate Professor of Economics at the Dept. of Economics & Statistics “Cognetti de Martiis” of the Univ. of Turin, and research affiliate at Collegio Carlo Alberto. I studied Political Science at Bachelor’s and Master’s level at the Univ. Federico II in Naples, the lovely city where I grew up and where I’ve learnt how to survive most other places of the world. Then I received the MSc in Development Economics and the PhD in Economic Theory & Institutions at the Univ. of Rome “Tor Vergata”. Although I was trained as an economist my research topics are at the intersection between different social sciences. They include social preferences (e.g. trust, altruism, cooperation), subjective well-being, happiness and development (e.g. microfinance, civil war and natural disasters). I use experimental- and applied-economics methods such as fieldworks, lab-experiments, policy evaluation tools and analysis of survey data. I founded and currently lead CLOSER (Center for LabOratory Simulations and Experimental Research) with the aim of bringing together psychologists, sociologists and economists for a broader understanding of human behavior. I love riding my mountain and road bikes, swimming, traveling, listening to music and playing it with my indie-rock band.

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