Mi sono sempre chiesto quanto un atto di generosità sia guidato da motivazioni “egoiste” e quanto esso sia frutto di spinte puramente altruiste.
La letteratura scientifica che studia le motivazioni di azioni other-regarding, cioè orientate al beneficio di altre persone, non ha trovato una soluzione univoca al quesito.
Tra i sostenitori della linea “egoistica” del dono vi è chi dimostra che è il piacere individuale a guidare scelte altruistiche: l’atto stesso di donare è un “caldo bagliore” (warm glow) che fornisce all’animo una ricompensa emotiva non trascurabile. Sulla stessa linea, altri autori sostengono che il dono sia frutto di un’aspettativa di reciprocità: oggi faccio del bene, perché spero/ credo che gli altri prima o poi si comportino così con me. Secondo altri il dono alimenta l’immagine che ognuno ha di sé, nonché la propria reputazione presso il gruppo sociale di riferimento. Altri autori hanno dimostrato che donando si minimizza il costo di deviare da una norma sociale che prescrive alta generosità. Secondo i sostenitori della seconda linea di pensiero, invece, le persone hanno un’innata propensione a donare, frutto di esperienze individuali passate, che è stabile anche in diverse condizioni contestuali. Altri autori dimostrano, inoltre, che gli individui tendono a donare per ridurre la diseguaglianza, per empatia con il beneficiario, per compensare il beneficiario per un torto subito, e per tanti altri motivi difficili da sintetizzare in questo articolo.
Segue su Nuovo Progetto (mensile del Sermig): https://www.sermig.org/idee-e-progetti/nuovo-progetto/articoli/le-ragioni-del-dono.html